Influenza dello Shinto sul Bushido
Prima del periodo Kamakura possiamo rintracciare una preistoria del bushido direttamente nello shintoismo. Abbiamo visto all’inizio come lo shintoismo sia una religione di tipo animista, quindi piuttosto primitiva. Non sembra allora strano che abbia potuto resistere così a lungo al confronto di una religione superiore come quella buddista ed all’impatto del pensiero e delle religioni del mondo occidentale? In effetti nello Shinto c’è anche qualcosa di più.
Lo Shinto è la via degli dei: l’ideogramma utilizzato per raffigurare il termine shintoismo, letto in giapponese puro diventa Kami no michi. Sapete che gli ideogrammi sono stati importati dalla Cina nel V° secolo, all’incirca insieme al buddhismo, ed ognuno di essi può essere letto in due modi, uno che deriva dalla lettura cinese di quell’ideogramma e l’altro che invece corrisponde alla parola originaria giapponese che esprime quel concetto. Kami no michi vuol dire appunto “la via degli dei”. Molti degli esercizi spirituali del bushido derivano più dallo shinto che dallo zen: ad esempio il bagno di cascata o l’ascensione rituale delle montagne, simbolo di elevazione.
Lo Shinto porta al bushido il senso divino della stirpe, la fierezza del retaggio guerriero di avi diventati dei, lo spirito eroico e gentile della terra di Yamato, il senso sacro della spada, il sentimento di purezza e di sincerità. Anche sul significato della spada giapponese bisognerebbe fare un’ampia digressione, perché veramente la katana era l’anima del samurai. Ma questo ci porterebbe troppo lontano: la spada veniva posta di fianco alla culla del neonato per proteggerlo; urtare nel camminare il fodero della spada di un samurai era un’offesa che si pagava con la vita; vi sono più di 50 termini per indicare le diverse parti di una spada; il suo utilizzo, al di là della necessaria abilità che si perfezionava per tutta la vita, richiedeva di adeguarsi ad un complesso rituale dalle regole ferree e la stessa fabbricazione della lama era in parte una cerimonia religiosa. C’è tutto un mondo dietro.
I samurai attribuivano alla spada poteri divini. Si racconta di due lame prodotte dai massimi maestri spadai Masamune e Masashige. Immerse nelle acque di un ruscello, la prima tagliava in due le foglie che la corrente portava a contatto, la seconda invece deviava dal filo tagliente le foglie che si avvicinavano. Terribilmente efficace quella di Masamune, misteriosamente superiore quella di Masashige con la sua benevolenza; e la benevolenza è un’altra delle qualità che fanno parte dell’etica del guerriero. Il samurai aveva il diritto di uccidere gli uomini delle classi inferiori, ma la benevolenza, l’etica del bushido, impediva che ne approfittasse.
Bushido, Yamatodamashi e yamatogokoro sono tre termini uniti da un simbolo comune, il sakura, il fiore del ciliegio. Il fiore di ciliegio ricorda il samurai perché giunto a completa fioritura cade repentinamente: ancora un collegamento all’idea della morte. Un antico detto recita “HANA WA SAKURA GI, HITO WA BUSHI”. Tra i fiori il ciliegio, tra gli uomini il guerriero.
YAMATODAMASHI, da tamashi = spirito, rappresenta l’anima del Giappone, YAMATOGOKORO, da kokoro = cuore, rappresenta la bellezza delle cose giapponesi e comprende in sé il mono no aware, commozione delle cose, la partecipazione emotiva al rito sacro della natura ed alla bellezza delle cose semplici. È tipicamente giapponese il ricercare la bellezza anche nelle piccole cose, in un certo accostamento, nel modo di presentare gli oggetti. Ad esempio nell’ikebana, dove pochi rami o pochi fili d’erba riescono a trasmettere delle sensazioni, od anche nella cucina giapponese dove ogni piatto sembra un’opera d’arte, perché deve soddisfare prima l’occhio che il palato. Il mono no aware è il sentimento che si prova contemplando il ciliegio in fiore, la cui bellezza effimera ricorda la caducità della vita. Sono tutti concetti che fanno parte del bushido. E con questo abbiamo esaminato il duplice aspetto dell’animo guerriero giapponese: l’imperturbabile calma di fronte alla morte e la gentile sensibilità affinata dal mono no aware. Il sakura è il samurai ed il bushido è yamatogokoro: il contributo dello Shinto è determinante in queste espressioni.
La via dei kami si esprime anche nella purezza rituale. Makoto indica questa purezza, questa sincerità, l’onestà e lo zelo con cui il samurai è disposto a seguire la via del bushido. Esprime makoto chi evita di pensare al proprio interesse, chi rifugge dal profitto e sa liberarsi dalle passioni, ed ovviamente chi sia in battaglia come nella vita quotidiana si comporta sempre con correttezza, evitando i sotterfugi o le facili scorciatoie, senza vantarsi od imbrogliare ma offrendo sempre tutto se stesso con sincerità.
Il senso della purezza è molto radicato nell’animo giapponese ed è probabilmente alla base dell’abitudine giapponese di fare il bagno frequentemente. Il bagno è un’istituzione, un momento sociale, il bagno si fa in gruppo, insieme ad altre persone, ed ha tutto un suo rito. L’acqua del bagno è caldissima, e non si entra nel bagno con la saponetta, ci si lava prima di fare il bagno. Il giapponese rifugge anche dalle cose considerate impure, come ad esempio la morte. Chi si occupa dei morti, i becchini o gli addetti alla macellazione degli animali, è posto all’ultimo gradino della scala sociale, al più basso grado dei fuori casta. La società giapponese era divisa in quattro grandi categorie. I kuge, i nobili; i buke, i guerrieri, daimyo e samurai; gli heimin, il popolo, contadini, artigiani e mercanti; ed infine gli eta, i fuori casta. Al gradino più basso degli eta stanno i becchini.
Vorrei tornare infine al concetto di MAKOTO, la purezza rituale espressa nella via dei Kami. In tutte le arti divenute “vie”, quindi anche nelle arti marziali, la purezza del movimento è determinata dalla sua essenzialità. L’azione migliore, più pulita, senza spreco di energia (ricordate il principio della massima efficacia alla base del judo) è quella più bella da vedere e quindi quella che ispira il senso di mono no aware. Siamo così tornati per altra via, non più quella dello Zen ma quella dello Shinto, del Kami no michi, all’idea che la tecnica va insegnata nella sua purezza: solo così è Yamatogokoro, è Do, è mono no aware, altrimenti è sport.