REI
Prima di illustrare dettagliatamente le forme di saluto, sarà utile esaminare come viene disposta la materassina all’interno del dojo. I quattro lati del tatami hanno ciascuno un loro significato: il lato più lontano dall’ingresso viene considerato “lato d’onore”, o KAMIZA ed è su questo lato che viene solitamente appesa la fotografia del fondatore. Il termine Kamiza può essere tradotto come “lato degli dei” perché anticamente, quando nelle case giapponesi vi era sempre un luogo dedicato alle divinità protettrici, anche nelle palestre vi era sul lato d’onore un piccolo altare. Guardando il lato d’onore, sulla sinistra abbiamo il lato del maestro (JOSEKI) e sulla destra quello degli allievi (SHIMOSEKI). Di fronte a Kamiza vi è il lato inferiore (SHIMOZA) dedicato agli allievi esperti ed agli ospiti. Quando l’ospite è però di particolare riguardo, il maestro lo farà sedere accanto a sé, alla sua destra se di grado inferiore ed alla sua sinistra se di grado superiore.
Nel Judo vi sono due forme di saluto: il saluto in piedi (ritsu-rei) ed il saluto in ginocchio (za-rei).
RITSU-REI
Il saluto in piedi si effettua partendo dalla posizione eretta a talloni uniti e punte dei piedi divaricate di circa 45°, braccia distese naturalmente lungo i fianchi, schiena dritta; da qui ci si inchina in avanti di circa 30° flettendosi all’altezza della cintura, senza variare l’assetto del tronco: in questo modo lo sguardo viene rivolto verso il terreno. Nelle donne vi è una lieve differenza legata alla tradizione: durante l’inchino le mani anziché rimanere lungo i fianchi scivolano fino alle ginocchia; in questo modo il busto risulta maggiormente inclinato, circa 45°.
Il saluto in piedi viene utilizzato in diverse occasioni:
- Ogni volta che si sale o si scende dalla materassina. L’allievo deve salire e scendere sempre dal lato allievi e farà il saluto su questo lato, rivolto verso l’interno della materassina. Questo saluto può essere inteso come forma di rispetto verso l’ambiente in cui si entra o come saluto generico verso i presenti. Qualcuno lo intende anche come un segno esteriore del passaggio dal mondo esterno all’ambiente del judo, con la sua filosofia e le sue regole. Anticamente questo saluto era in realtà rivolto alle divinità presenti sull’altare shintoista. Questo saluto va effettuato anche nell’eventualità che ci si trovi in materassina da soli.
- Quando si inizia o si termina l’allenamento con un partner. In questo caso i due compagni si dispongono lungo l’asse longitudinale della materassina, a breve distanza, con l’accortezza di avere sempre la cintura superiore dal lato maestro. Il significato di questo saluto, oltre che di rispetto reciproco, è come forma di ringraziamento per l’aiuto che ciascuno dei due fornisce all’altro nel corso dell’allenamento.
- All’inizio ed alla fine dei kata. Il saluto, rivolto sia a Joseki che al partner fa parte della forma del kata e viene eseguito in modi diversi (in piedi od in ginocchio) ed in diverse posizioni a seconda del kata.
- All’inizio ed alla fine di una competizione. I contendenti si dispongono sugli appositi segnaposti e si salutano ad un cenno dell’arbitro. Il significato ricorda la stretta di mano dei pugili, segno di lealtà reciproca.
ZA-REI
Per eseguire il saluto in ginocchio, partendo dalla posizione del saluto in piedi occorre dapprima piegare il ginocchio sinistro appoggiandolo dove prima stava il piede, punta del piede a martello; successivamente si appoggia a terra anche il ginocchio destro ed infine si distendono le punte dei piedi. A questo punto ci si può sedere sui talloni mantenendo una distanza tra le ginocchia pari alla larghezza di due pugni. Le braccia rimangono abbandonate in modo naturale con le mani appoggiate all’altezza dell’inguine, punte rivolte verso l’interno e dita chiuse. Mantenendo le mani nella stessa posizione si fanno scivolare lungo le cosce fino a farle appoggiare a terra davanti alle ginocchia, in forma di triangolo equilatero; si abbassa poi la fronte verso il centro del triangolo fino a circa 20 cm da terra. Per rialzarsi si esegue la stessa serie di movimenti al contrario: si ritorna con la schiena eretta, poi si portano le punte dei piedi a martello raddrizzando contemporaneamente le cosce, si solleva quindi la gamba destra ed infine la sinistra portandosi in piedi. Anche nello za-rei vi è una piccola differenza tradizionale per le donne: nel loro caso il saluto va eseguito mantenendo le ginocchia unite; in conseguenza di ciò anche la posizione delle mani appoggiate a terra sarà più ravvicinata.
Il saluto in ginocchio si effettua all’inizio ed alla fine della lezione, tutti insieme, rivolti verso il maestro che lo eseguirà a sua volta. Gli allievi si disporranno lungo il loro lato in ordine di cintura, la più alta verso il lato d’onore ed attenderanno in ginocchio il cenno dell’insegnante. A questo punto il primo della fila, la cintura più elevata, darà il comando “REI” per eseguire l’ultima parte dell’inchino tutti insieme. Gli aiutanti del maestro e gli eventuali insegnanti ospiti si disporranno sul lato di fronte a Kamiza in ordine di grado, il più elevato verso il lato maestro. Nel caso il maestro voglia onorare particolarmente un altro insegnante ospite può farlo inginocchiare di fianco a sé, sul lato maestro, alla propria destra se di grado inferiore, alla sinistra se superiore. Nessuno mai dovrà inginocchiarsi sul lato d’onore, salvo gli dei del Judo.
Possiamo interpretare questo saluto come una forma di ringraziamento per l’insegnamento ricevuto durante la lezione. L’insegnante saluta a sua volta non solo come risposta ma anche perché secondo la filosofia del “ji-ta-kyo-ei” tutti durante la lezione progrediscono, imparano qualcosa, anche l’insegnante, per cui anch’egli ringrazia.
Nel caso l’allievo debba iniziare o terminare la lezione in orario diverso dai suoi compagni egli potrà, con il permesso dell’insegnante, eseguire lo za-rei da solo. Anche nel caso in cui l’allievo per un motivo qualsiasi acceda alla materassina in assenza dell’insegnante, dovrà comunque eseguire questo saluto perché l’insegnamento del nostro maestro è sempre dentro di noi, anche quando lui è assente.