Miti e preistoria
Quando parliamo di storia giapponese, soprattutto di storia antica giapponese, dobbiamo sempre distinguere tra la storia ufficiale e quella reale. La civiltà giapponese ha assimilato molto dalla civiltà cinese, rielaborandola e riproponendola poi secondo il proprio gusto ed ottenendo un risultato ancor più raffinato dell’originale, come d’altronde ha spesso fatto nel corso della propria storia, non ultimo quello che sta facendo ora nel copiare e poi riproporre la tecnologia occidentale. Ha però sempre nutrito una certa invidia nei confronti della civiltà cinese, soprattutto per quanto riguarda l’antichità di questa civiltà, ed ha quindi cercato di alterare le date di inizio della propria storia per attribuirsi un’antichità paragonabile a quella cinese. I dati archeologici spesso smentiscono la storia ufficiale.
Il Giappone ha adottato la scrittura piuttosto tardi, gli ideogrammi sono stati importati dalla Cina intorno al V° secolo d.C., quindi tutto quello che è anteriore fa riferimento esclusivamente alla tradizione orale. Uno dei primissimi testi scritti, il Kojiki, tratta appunto della storia del Giappone antico, i cui inizi leggendari si confondono con il credo della religione shintoista.
La mitologia shintoista ci dice che un tempo il dio Izanami toccando con la lancia sacra l’oceano fece emergere l’isola di Kyushu, la regione più meridionale del Giappone, poi sua sorella Izanagi fece analogamente emergere le altre isole dell’arcipelago (e probabilmente anche il resto del mondo, già che c’era: in qualsiasi religione il proprio paese è il centro del mondo); i due generarono quindi Amaterasu, dea del sole, e Susano-o, dio delle tenebre e del mare. Susano-o era però un dio dispettoso e spesso con le sue acque devastava le colture che Amaterasu aveva fatto fiorire.
Il Kojiki ci racconta che un giorno il dio Susano-o per dispetto gettò nella sala dove si trovavano gli altri dei un cavallo scorticato a rovescio; a dire il vero non ho mai compreso bene il significato di questo gesto, ma probabilmente per la mentalità giapponese rappresenta un grave oltraggio, ed infatti gli altri dei furono molto offesi, soprattutto Amaterasu che si ritirò in una grotta e non ne voleva più uscire, lasciando il mondo buio e triste. Dopo qualche tempo gli altri dei decisero di intervenire ed escogitarono uno stratagemma: si radunarono tutti davanti all’ingresso della grotta e qui un’altra dea improvvisò una danza così oscena e sfrenata che tutti i presenti scoppiarono a ridere. Amaterasu incuriosita si affacciò per vedere come mai gli dei non erano più tristi ed immediatamente le fu mostrato uno specchio per riflettere il suo fulgore ed una collana di gioielli per attirarla. Si lasciò quindi convincere a riprendere il suo posto nel cielo, a patto che ne venisse cacciato Susano-o; questi si rifugiò dunque ad Izumo, nel Giappone centrale. Col passare del tempo Susano-o divenne meno irrequieto ed anzi aiutò le popolazioni locali a sconfiggere un drago che li terrorizzava. Nel corpo del drago trovò una spada divina, la famosa tsumugari, che donò ad Amaterasu. In seguito la dea decise di intervenire per non lasciare il mondo (il Giappone) nelle mani di Susano-o. Mandò quindi sulla terra il proprio nipote Ninigi consegnandogli come segno della propria autorità la spada divina, lo specchio ed i gioielli ricurvi. Ninigi si stabilì nel Kyushu e da qui suo nipote Jimmu mosse verso nord e riuscì infine a sconfiggere e scacciare Okuninushi, il nipote di Susano-o, divenendo imperatore di tutto il Giappone col nome di Jimmu Tenno (Tenno significa signore del sole). È evidente come questo mito non faccia altro che porre in termini leggendari quello che fu il difficile affermarsi del clan Yamato nei confronti di altri clan rivali insediatisi ad Izumo: alla fine gli Yamato riuscirono ad imporsi e diedero inizio alla stirpe imperiale, che probabilmente a quei tempi controllava solo un piccolo territorio.
La data di nascita ufficiale dell’impero giapponese è l’11 febbraio 660 A.C. Poiché gli imperatori del Giappone appartengono tutti alla stessa dinastia, dagli albori della storia ad oggi, la religione shintoista convalida la discendenza divina dell’imperatore ed ancora oggi i segni dell’autorità imperiale sono la spada divina, lo specchio della dea e la collana di gioielli ricurvi.
La storia reale invece ci dice che il Giappone raggiunse una certa unità soltanto quasi mille anni più tardi. Vediamo quali sono i dati storici certi. Recenti ritrovamenti archeologici mostrano che le isole giapponesi (a quei tempi ancora collegate alla terraferma) erano abitate già duecentomila anni fa. L’Homo erectus era quindi presente in Giappone già ai tempi delle grandi eruzioni vulcaniche, anche se di queste antichissime popolazioni non sappiamo praticamente nulla, poiché non sono ancora stati ritrovati scheletri di quel periodo ma solo piccoli manufatti. Nelle ere successive le terre giapponesi, che rappresentavano l’ultima spiaggia del continente asiatico, videro il sovrapporsi di tutte quelle popolazioni che migravano attraverso l’Asia fino al suo estremo limite. Le migrazioni si interruppero con la definitiva separazione dell’arcipelago dalla terraferma.
Con l’avvento dell’Homo sapiens, circa quindicimila anni fa, e quindi con lo sviluppo della capacità di costruire imbarcazioni, il Giappone poté nuovamente essere raggiunto da flussi migratori esterni: venne colonizzato dapprima da nord, da una popolazione di provenienza sconosciuta, forse di origine altaica od ariana, quindi con tratti somatici bianchi, che occupò Hokkaido e buona parte dell’Honshu, gli Ainu. Residui di questa popolazione sono ancor oggi presenti nel nord del Giappone. Intorno a 10.000 anni fa abbiamo già una fiorente civiltà, in grado di produrre le splendide ceramiche Jomon, che sono le più antiche esistenti al mondo. Dello stesso periodo le statuette di terracotta chiamate Dogu e ritrovate in abbondanza in tutto il Giappone settentrionale: rappresentanpo figure antropomorfe con uno stile che ha fatto sorgere le interpretazioni più fantasiose. I popoli dell’epoca jomon erano costituiti prevalentemente da pescatori e si cibavano dei frutti del mare: infatti intorno ai villaggi di quel periodo sono stati ritrovati immensi depositi di conchiglie ammucchiate. La disponibilità di cibo era quindi sufficientemente costante da consentire il passaggio dal paleolitico al neolitica già prima dell’introduzione dell’agricoltura.
I misteriosi Dogu
Successivamente, abbiamo una colonizzazione da sud da parte di popolazioni provenienti dall’Indocina o forse dall’Indonesia o addirittura dalla Polinesia. Queste popolazioni, i progenitori degli attuali giapponesi, avevano tratti somatici chiaramente orientali, mongoloidi, ma parlavano, e parlano tuttora, una lingua che non è imparentata con nessun’altra al mondo, quindi è difficile individuarne la provenienza. I nuovi venuti erano suddivisi in clan, chiamati uji, ognuno con un proprio capo, ma alla fine, già in epoca storica, il clan degli Yamato divenne il nucleo principale che assoggettò tutti gli altri e diede origine alla stirpe imperiale.
Gli uji erano gruppi autonomi ed autosufficienti, composti da nuclei familiari con forti legami reciproci che, pur rispettando l’autorità centrale degli uji più potenti, mostravano un forte senso di indipendenza e solidarietà interna. Ognuno di questi clan era un organismo politico-sociale caratterizzato da vincoli familiari e religiosi e da solidarietà economica: ogni uji si riconosceva nella discendenza da un medesimo capostipite e venerava lo stesso protettore divino. Il capo di ogni clan esercitava un’autorità di tipo patriarcale sia sulle persone che sui territori, e non era infrequente che questo capo fosse una donna. Già nel periodo protostorico aveva conquistato una posizione dominante l’ uji che si era stabilito nello Yamato e che diceva di discendere dalla dea del sole, Amaterasu. Il capostipite della famiglia, che si proclamava discendente della dea in linea diretta, era l’ imperatore.La mentalità dell’uji è rimasta profondamente radicata nella cultura giapponese di tutti i tempi e sempre il giapponese ha ricercato il conforto di appartenere ad un gruppo, al quale poter dedicare tutte le sue energie e spesso anche la propria vita: risulta molto evidente nel mondo delle arti marziali, suddiviso in innumerevoli ryu, o scuole, ciascuna gelosa del proprio sapere ed in antagonismo con tutte le altre. Nelle arti marziali questo si è un po’ mitigato nel secolo scorso con la diffusione a livello mondiale di alcune discipline, ma sotto sotto la mentalità rimane e porta ancor’oggi al continuo frazionamento in gruppi, organizzazioni, pseudo-federazioni. Vediamo questa mentalità anche nel mondo del lavoro, dove ogni impresa costituisce una compagine compatta di lavoratori che sentono profondamente il senso di appartenenza all’azienda, alla quale dedicano energie e sacrifici che sarebbero impensabili nel mondo occidentale. La si è vista ovviamente in campo militare, in ogni tempo, ma anche le corporazioni economiche, le scuole di pensiero, le organizzazioni religiose, i gruppi sportivi, gli insegnanti con i loro discepoli riecheggiano tutti il concetto di clan, formato da individui con obiettivi comuni che si identificano in un capo e si contrappongono agli altri clan.
Queste popolazioni che hanno colonizzato il Giappone protostorico vengono indicate con il nome generico di Yayoi. In questo periodo iniziò lo sviluppo dell’agricoltura e la lavorazione del bronzo. Gli Yayoi si stabilirono dapprima nella parte più meridionale del Giappone, l’isola di Kyushu, e da qui passarono gradatamente nell’isola principale, Honshu, ricacciando sempre più verso nord le popolazioni Ainu. La cultura Yayoi si propagò fino alle pianure del Kansai e del Kanto, mentre il resto dell’Honshu e tutto l’Hokkaido rimasero fermi al neolitico fino all’anno 1000.
Il periodo preistorico giapponese viene quindi suddiviso nelle fasi Jomon, caratterizzata, come abbiamo già visto, dalla produzione di un particolare tipo di ceramica fatto a mano, Yayoi, intorno al 300 A.C. in cui le ceramiche vengono eseguite al tornio, e Kofun, circa 300 D.C. caratterizzata dalla costruzione di grandi tombe a tumulo. Evidentemente in questo periodo si era raggiunta una aggregazione sufficiente a costituire grandi regni i cui sovrani disponevano della mano d’opera sufficiente ad innalzare tombe degne del loro potere. Le tombe Kofun sono l’unico esempio nella storia giapponese di costruzioni sepolcrali di grandi dimensioni. A decorazione dei Kofun venivano poste statuette di pregevole fattura, dette Haniwa, che riproducevano fedelmente case, navi, armature e figure umane: questi modellini rappresentano un prezioso contributo alla conoscenza delle abitudini e dell’aspetto dei giapponesi di quel periodo. In quegli anni si iniziò anche la lavorazione del ferro. Il passaggio dalla cultura Yayoi a quella Kofun, e quindi dall’epoca del bronzo a quella del ferro, sembra dovuto ad evoluzione naturale delle popolazioni autoctone o, quanto meno, se vi fu influsso dall’esterno, questo non fu causato da nuove migrazioni di popoli ma da viaggi e scambi culturali effettuati nel continente dagli stessi giapponesi.
I primi influssi diretti della civiltà cinese si ebbero poco più tardi, nel III° secolo quando popolazioni in fuga sotto la pressione degli imperatori Han giunsero in Giappone portandovi la coltivazione del riso e la lavorazione dei metalli. Infatti, contrariamente a quanto comunemente si pensa, il Giappone fu l’ultimo tra i paesi orientali ad adottare la coltivazione del riso, anche perché la morfologia del paese, prevalentemente montagnoso, richiedeva opere di terrazzamento ed irrigazione progettabili solo da una popolazione già evoluta.
Le prime notizie storiche certe ci vengono dagli annali cinesi che già nel IV° secolo, agli inizi del periodo kofun, documentano ampiamente le caratteristiche del “paese dei nani”, che si trovava al di là della penisola coreana ed era frammentato in innumerevoli staterelli, il più importante dei quali era chiamato Yamatai, retto dalla mitica imperatrice Himiko. Non fatichiamo ad immaginare che Yamatai fosse il luogo dove stava ormai prevalendo il clan degli Yamato e che la regina Himiko potesse essere una delle costruttrici delle grandi tombe: infatti gli annali raccontano che fu sepolta insieme a più di cento schiavi sacrificati per l’occasione, in una tomba che quindi non poteva essere piccola. Il cosiddetto “paese dei nani” probabilmente non fa riferimento alla statura fisica dei giapponesi: in cinese nano si dice wa, e wa è il termine che i giapponesi utilizzano per indicare “io”, quindi potrebbe voler dire semplicemente il paese dove la gente chiama se stessa wa.
L’inizio del predominio degli Yamato e quindi la nascita dell’impero giapponese deve quindi posizionarsi in qualche momento tra il periodo Yayoi e quello Kofun. D’altro canto l’imperatore ha sempre esercitato più un ascendente di natura religiosa e simbolica che non una vera sovranità politica. Infatti, come vedremo chiaramente nei periodi successivi, egli sarà sempre costretto ad appoggiarsi alle famiglie militarmente più potenti per poter realmente governare: anche se la supremazia dell’ imperatore non è mai stata messa in discussione durante la storia giapponese, spesso il potere effettivo stava nelle mani di altre persone. Diventa quindi molto difficile stabilire esattamente, in mancanza di una cronaca scritta, quando tutto ciò sia cominciato.
statuetta Haniwa