Periodo Showa (1926-1989)
Alla morte di Yoshihito salì al trono il figlio primogenito Hirohito che inaugurò l’era Showa o “della pace illuminata”, che purtroppo era di pace non fu.
Il potere nel paese era ormai nelle mani delle organizzazioni militari e nazionaliste che trascinarono il Giappone in una politica di espansione imperialistica, agendo spesso di propria iniziativa e mettendo il governo di fronte al fatto compiuto. I capi militari, agendo ufficialmente nel nome dell’imperatore, erano sottratti al controllo delle autorità civili, né d’altronde il sovrano, come da millenaria consuetudine, interferiva nelle scelte politiche, lasciando quindi ad essi piena autonomia. Il predominio dei giapponesi in Asia cominciava però a scontrarsi con gli interessi degli americani che si stavano a loro volta espandendo nel Pacifico e non vedevano più di buon occhio il crescere della potenza nipponica. Le difficoltà economiche ed il sovraffollamento del Giappone rendevano sempre più indispensabile cercare risorse in nuovi territori, fomentando un vasto consenso popolare alla classe militare che indirizzava il paese verso una via senza ritorno. Grande soddisfazione provocò quindi la conquista della Manciuria ed i giovani capi militari che con una serie di iniziative a sorpresa, spesso poco ortodosse, l’avevano resa possibile non furono puniti per la propria insubordinazione ma anzi considerati degli eroi. Le alte gerarchie dell’esercito riuscirono ad occupare sempre nuove posizioni all’interno del governo fino ad estrometterne completamente i civili; questa situazione, sebbene completamente diversa da quelle che si erano venute a formare in occidente, portò il Giappone a trovarsi in sintonia con le dittature di Italia e Germania, con le quali firmò un trattato di alleanza in funzione eminentemente antisovietica.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale il governo giapponese, come già aveva fatto proficuamente nel corso della prima, approfittò del momentaneo disinteresse delle potenze occidentali per invadere la Cina ed espandere ulteriormente il proprio controllo nel sud-est asiatico; questo allarmò gli Stati Uniti che fino a quel momento avevano appoggiato la politica giapponese, ma temevano ora per i propri possedimenti nelle Filippine; l’America, da cui il Giappone importava l’80% delle materie prime che gli servivano per la guerra, proclamò un embargo totale e bloccò tutti i rifornimenti. I giapponesi, dopo alcuni inutili tentativi di trattativa, decisero di eliminare la concorrenza americana nel pacifico affondandone la flotta che presidiava le isole Hawaii, ma questa volta le altre nazioni occidentali non stettero a guardare, né d’altronde gli Stati Uniti potevano essere facilmente sopraffatti come la Cina o la Russia degli zar. Nei primi mesi di guerra l’esercito nipponico dilagò nel Pacifico occupando un’immensa area che andava dalla Siberia all’Australia, dall’India alle Hawaii, ma l’immane sforzo bellico che gli USA furono in grado di produrre ed il disimpegno in Europa degli altri Alleati seguito alla caduta della Germania, portarono ad una lenta e sanguinosa riconquista delle basi del Pacifico occupate dai giapponesi; la tenacia da loro dimostrata nel difendere ogni singola posizione fino all’ultimo uomo rese però subito evidente l’enorme tributo in vite umane che sarebbe costato il portare la guerra sul suolo nipponico.
Il Giappone si trovava ormai solo a fronteggiare il blocco delle potenze occidentali, logorato nelle forze e con le principali città semidistrutte dalle continue incursioni aeree, ma la popolazione sopportava stoicamente e continuava a resistere; Hirohito sollecitò il governo a por fine alla guerra ed i responsabili giapponesi cominciarono a cercare di intavolare una trattativa. Gli Alleati decisero allora di dare una prova formale della loro potenza distruggendo le città di Hiroshima e Nagasaki con la bomba atomica, dimostrazione che, vista in prospettiva, più che diretta al Giappone ormai stremato, sembra voler essere stato un monito per l’Unione Sovietica. A loro volta i sovietici, dopo lo scoppio delle atomiche, entrarono in guerra a fianco degli alleati ed invasero la Manciuria. A questo punto mentre il popolo giapponese, secondo le proprie tradizioni, si preparava a “morire per l’Imperatore”, l’Imperatore stesso entrò in gioco e forse per la prima volta nella storia giapponese prese una decisione politica cruciale: accettò la resa e l’occupazione alleata. A poche ore dalla firma della resa le truppe di Stalin conquistarono proditoriamente l’arcipelago giapponese delle Kurili, tuttora sovietico, ragione per la quale i giapponesi non hanno mai voluto firmare un trattato di pace con i russi.
Anche in Giappone vi furono processi e tribunali che condannarono chi in guerra si era macchiato di crimini, come purtroppo accade in tutte le guerre. I samurai giapponesi, abituati a suicidarsi prima di cadere nelle mani del nemico, non riuscivano a comprendere il concetto di prigioniero e spesso avevano trattato i vinti in modo disumano. Le condanne a morte furono un centinaio, ma di queste solo sei vennero realmente messe in pratica. Al Giappone fu però imposta una totale smilitarizzazione, che durante il periodo dell’occupazione alleata comprendeva anche le arti marziali. Solamente il Judo, per le sue caratteristiche formative, fu ufficialmente accettato.Il governo alleato, affidato al generale Mac Arthur, consentì all’Imperatore di mantenere la propria funzione chiedendogli soltanto di rinunciare pubblicamente alla propria ascendenza divina. Il provvedimento può sembrare blando in rapporto a quanto era accaduto in Italia e Germania, ma d’altro canto mentre in queste nazioni ci si trovava di fronte a dittature i cui leader erano i principali responsabili della guerra, l’imperatore giapponese era il legittimo erede di una dinastia millenaria ed aveva soltanto ratificato decisioni alle quali tecnicamente non avrebbe potuto opporsi, come d’altronde era sempre accaduto nella storia giapponese laddove l’imperatore rappresentava il simbolo dell’autorità ma il reale potere era nelle mani di altri che agivano in suo nome. A posteriori la decisione di salvaguardare l’imperatore si dimostrò una scelta vincente e diede luogo ad un colpo di scena che ha dell’incredibile e sul quale sono stati spesi fiumi di inchiostro nel tentativo di spiegarlo alla nostra mentalità. All’indomani della resa, l’Imperatore parlò alla radio e chiese al popolo il sacrificio più grande, che non era di “morire per l’imperatore”, come tutti erano già decisi a fare, ma piuttosto di “sopportare l’insopportabile, di soffrire l’insoffribile” ed accettare la sconfitta. Da un giorno con l’altro le truppe d’occupazione furono trattate come ospiti: i soldati americani che temevano di dover conquistare le città metro dopo metro, casa dopo casa, nel giro di pochi giorni poterono tranquillamente girare disarmati. Gli Alleati erano sempre stati convinti che sarebbe stato impossibile aver ragione dei giapponesi se non sterminandoli completamente, ed è un’ipotesi che era stata presa seriamente in considerazione; ma all’improvviso l’ordine di un imperatore, che da mille anni non aveva mai avuto un reale potere politico, era stato sufficiente a fermare un popolo.
Gli avvenimenti degli anni successivi sono storia recente e dimostrano ancora una volta la capacità dei giapponesi di assimilare idee e culture diverse dalle proprie, adeguarle alla loro mentalità e trasformarsi ad imitazione di queste culture. Come ai primordi della loro storia avevano assimilato e riproposto la cultura cinese, così ora si trovarono attratti dalla tecnologia, dal modo di vivere, dalla democrazia americana e si gettarono anima e corpo ad imitarli. Gli Stati Uniti, che avevano messo in ginocchio il Giappone, gli tesero volentieri la mano per risollevarsi, non da ultimo perché Mac Arthur aveva riportato in auge la possibilità di utilizzare l’arcipelago come baluardo contro l’Unione Sovietica, e così fu per tutto il periodo della guerra fredda. I giapponesi applicarono in tutta la sua efficacia quello che i praticanti conoscono come uno dei principi fondamentali del Judo: non opporsi alla forza di un avversario superiore ma adattarsi sfruttandola a proprio vantaggio. Il Giappone, sconfitto militarmente dall’America, ha invaso il mondo con la tecnologia acquisita da questa, occupando enormi fette di mercato e creando un impero economico di tutt’altra portata rispetto al proprio ex impero coloniale, tanto che alcuni storici contemporanei cominciano a chiedersi chi fu veramente ad essere sconfitto.
L’imperatore Hirohito